Appunti da una libreria barese
di Michele de Virgilio
A Bari si trova l’unica libreria d’Europa completamente specializzata in poesia. Si chiama Millelibri ed è gestita da Serena e Grazia. Bari e la Millelibri sono due luoghi che si contengono a vicenda: abbiamo passato un pomeriggio “all’interno di questo stretto giro di corridoi e di occhi che si guardano indietro”.
Mi piacerebbe cercare di dare uno sfondo teorico al confuso appello che sta chiamando a Bari legioni di turisti (soprattutto stranieri) per far scoprire a tutti il bel capoluogo pugliese, ciononostante non vorrei lasciar intendere che chi viene a insabbiarsi qui per anni o per l’intera vita sia perfettamente conscio dei motivi che lo guidano.
Quasi dieci anni fa, in un vecchio caffè nei pressi dell’Ateneo, vidi una giovane ragazza intenta a parlare di poesia e mi fermai ad ascoltarla. Capelli neri e occhi insoliti per una donna nata da queste parti, la sua voce mi dava l’impressione di imbalsamare il tempo.
All’epoca non potevo sapere cosa fosse la poesia. Parlo di quella con la P maiuscola; se lei avesse detto che quel bidone dell’immondizia che avevamo di fronte fosse stato Poesia, io ci avrei creduto.
Quella ragazza si chiamava Serena Di Lecce, oggi è sposata con uno scrittore di culto, ha una figlia molto graziosa e insieme a un’amica di nome Grazia Galasso custodisce una delle librerie più sorprendenti d’Europa: la prima libreria italiana specializzata in poesia, l’unica in Europa: la Millelibri.
La prima libreria italiana specializzata in poesia, l’unica in Europa
Per visitarla, giungo a Bari Centrale col regionale delle 13.50, subito dopo pranzo. Generalmente è l’ora che preferisco per un’esperienza di high life in solitaria nella città.
L’aria sa di birra, nel cielo si intravedono gli stessi cavalloni rosa del mare non molto distante.
Serena è di spalle a me che fuma sulla porta in ferro battuto di Via dei Mille 16. Fingendomi un turista, le chiedo da che parte si vada per la nuova stazione centrale. Non appena mi riconosce, mi abbraccia sorridente e mi chiede come va. Spegne la cicca. «Entra pure», mi fa. E accompagnandomi con eleganza all’interno della libreria, dice: «Fai come se fossi a casa tua». In fondo alla sala, nella penombra, c’è Grazia che asserisce con la testa. Sta leggendo un libro di Walcott. Mi colpisce il suo modo di sottolinearne le pagine.
La prima importante differenza tra questa libreria e una libreria normale è che se qui ti vedono un po’ giù, ti offrono da bere. Mentre Serena mi aggiorna per sommi capi su come sono andate le ultime presentazioni, io mi aggiro tra i suoi scaffali chiedendomi se lei non impersoni, in qualche modo, una sorta di mamma di tutti i poeti. Nel dubbio le chiedo tutt’altro, ovvero quale sia la cosa più strana che le sia capitata da quando ha aperto questo posto, qualche anno fa.
«Più volte mi è capitato di assistere a scene di regali con dediche consegnati in libreria. Pensa: una volta, una ragazza molto giovane ricevendo un regalo da un signore più grande di lei – con il quale era entrata – si mise a piangere a dirotto. La cosa mi colpì non poco, ma feci finta di nulla. Insomma, li per lì non mi piaceva l’idea di indagare sui motivi che l’avevano condotta a quel pianto. Bisogna essere discreti, in questo mestiere, non credi? Voglio dire, ti pare che un farmacista chieda al proprio cliente a cosa gli serva quel determinato anti infiammatorio che ha ordinato? No, non si fa».
Mentre parliamo, noto parecchie chicche su una mensola in prima vista. Intanto Serena si allontana per assistere due clienti giunti da Reggio Emilia. Ci sono i libri delle mitiche edizioni All’insegna del Pesce d’Oro, certi libricini minuscoli e numerati a cura di Vanni Scheiwiller, opere rarissime, talvolta introvabili come alcuni libri scherzosi di Giorgio Soavi. Non sono rari gli autografi, nemmeno le dediche.
Sento che sto per consumare un intero stipendio in libri. Serena frattanto è tornata libera. Mi racconta di un cliente con una richiesta piuttosto originale. «Era un fabbro, mi chiese di cercargli un libro di poesie di Agatha Christie!». «Assurdo» le faccio. Serena si porta una mano tra i capelli «E che dire di quella volta che mi capitò tra le mani un libro di poesie giovanili autografato da Tullio Dobner? Sai chi è, vero? «Ovvio», le dico, «il traduttore di Stephen King!». «Già!».
«Comunque. Parliamo di cose importanti» mi fa. «Domani sarà qui un intero pullman di amatori di poesia provenienti dal Nord Italia. Più precisamente arriveranno da Fucecchio, un piccolo paesino toscano situato sulla riva destra del fiume Arno». Sorride dolcemente. «Per me è una notizia incredibile e bellissima. Facendo questo mestiere ho capito che in Italia, ma anche all’estero ci sono un sacco di appassionati seri di poesia. Ricevo richieste da ogni Paese d’Europa. Credimi, sto aspettando questo gruppo manco fosse il nuovo Gruppo 63».
Qualche giorno dopo, sulla pagina Facebook della libreria, vedrò le foto di questi signori in carne e ossa, felici e sorpresi di aver trovato in Bari una casa della poesia.
Ora, personalmente ho come la sensazione che questa libreria risenta – senza saperlo – di tutta la vasta cultura storica e antichistica della città. Guardo i suoi scaffali e rivedo quelli del signor Calò, incontrato pochi giorni fa nella sua bottega di Via De Rossi. Uno strano personaggio che potrebbe essere uscito benissimo da un romanzo di Bolaño o di Cortazàr. Chi se ne dimentica del suo rarissimo tigrotto di Ronzan? Del suo fischietto dato alla polizia greca nell’ultima guerra? Della sua meravigliosa edizione del Falstaff di Giuseppe Verdi? Delle sue carte napoletane in miniatura appartenute a un fantomatico ergastolano campano?
Se ne stava abbarbicato dietro una scala sommersa di oggetti accatastati – solo in apparenza senza nessun ordine specifico – e sistemava dei quadri. A dividerci, soltanto un vetro dal quale si faticava a guardare. La sua bottega attirava senz’altro la mia attenzione, ma non mi invogliava a entrarvi. Se non mi avesse fatto segno di accomodarmi con una mano, forse non sarei entrato.
Attorno a me dimoravano vecchie cianfrusaglie, quadri di un certo pregio, libri di valore, mobili antichi, lampadari fuori moda. In quel claustrofobico caos che mi coccolava la testa scorgevo soprammobili usati, mai usati, in disuso, dimenticati, ritrovati. Pezzi di antiquariato con i quali giurava di mantenersi da vivere.
Tra un oggetto e l’altro, strano ma vero, raccontava del suo profondo amore per la Poesia. «Io sono un uomo di Lettere» diceva, e riferiva di aver conosciuto personalmente Alfonso Gatto, qui a Bari. Diceva anche che l’epoca nella quale si è trovato a vivere non è molto compatibile col suo sentire.
Continuando ad aggirarmi nella libreria accarezzo certi dorsi smangiati dal tempo e mi vengono in mente gli occhi consumati dalla vita del grande poeta montanaro Cristanziano Serricchio. Lo incontrai prima che morisse proprio poco lontano da questa libreria. Correva l’anno 2011.
Ma è la sobrietà di certi mobili in ciliegio, gli stessi che a fatica sorreggono intere collane di poesia al completo, a farmi andare con la mente a Bari Vecchia, quella città nella città in cui vi riconosco, con più tangibilità di sensi e di luci e di odori, le mie radici di uomo. Mi dicono che oggi, dove un tempo si entrava a proprio rischio e pericolo, i turisti si scattano i consueti selfie assieme a certe signore-pastaie dai culi enormi, regine indiscusse di certe vie e modelle a loro insaputa per certi shooting che non vi dico.
Torno con la mente al signor Calò. Mi accomiatava con una frase molto apocalittica, che diceva tutto e non diceva niente. Eppure mi piaceva l’enfasi che usava nel dirla: «Caro Michele» diceva «con questo animo medievale si vive male, molto male. Ci troviamo davanti a una praticità devastante. Io lo dico sempre a mia figlia: cerca di difenderti attraverso la psicologia.»
Dunque è all’interno di questo stretto giro di corridoi e di occhi che si guardano indietro – Bari, la Millelibri – che comincio a pensare che in Italia non poteva che nascere qui, una libreria come quella di Serena. Qui tutto conduce alla santità, al mistero, al sogno. Basta osservare certe tendine di pizzo, certi quadri di inizio Novecento o semplicemente certi muri sgarrupati e rimessi a nuovo. Viene fuori una strana visione a conferma della mia sensazione secondo la quale Bari, in qualche modo, rappresenti una sorta di città-calamita per tutti i poeti veri o sedicenti tali che vogliano avere una casa comune in questo Paese dimentico della sua enorme tradizione poetica.
Grazia senza avvisarci prende un vinile e fa risuonare una musica bellissima. Ascoltandola penso a tutti i poeti incrociati per le strade di Bari in tanti anni di vita. Ma cosa fa di questo posto materia di scrittura? Sarà il clima? La luce? L’aria? Ci sono, lo so: il colore che assumono i lampioni in ghisa del lungomare quando vengono immersi nei bagliori dell’alba. Anzi, no: le rughe degli anziani mentre si giocano a carte persino le mogli.
Non mi resta che salutare Serena e chiederlo al corpo incorrotto della protettrice dei colombi Santa Colomba di Sens, custodito nella Cattedrale di San Sabino. Indossa un abito bellissimo. Penso che mi piacerebbe conoscere chi glielo ha cucito.
E’ incredibile cosa possa essere oggi una libreria.
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Michele de Virgilio è nato il 24 Marzo 1988 a Molfetta (Bari). Laureatosi in tecniche della riabilitazione psichiatrica, nel 2010 pubblica per i tipi di Sentieri Meridiani (FG) una silloge poetica dal titolo Ho visto uomini cadere (Menz. speciale al Premio Nabokov 2011). Nello stesso anno viene menzionato da Michelangelo Zizzi come uno dei poeti pugliesi più degni di attenzione nell’antologia A Sud del Sud dei santi edita da Lietocolle. Nel tempo, suoi contributi letterari sia in poesia che in prosa sono apparsi per le maggiori riviste nazionali. L’ultima sua raccolta si intitola Tutte le luci accese ed è stata pubblicata da Giuliano Ladolfi (Borgomanero) con una prefazione di Paolo Di Paolo.