Grissini

di Luca Barachetti
illustrazione di Michele Rota

 

“Mi son fatto tutto da me, mi son fatto tutto da me,
Mi son fatto tutto da me…
Mi son fatto tutto di merda!”
(Giorgio Gaber)

I grissini. Quelli che mangi al ristorante, in pacchetti da tre, perché hai fame e non hai ancora ordinato. Quelli coi grani di sale sopra, i più buoni, croccanti e che fanno venire sete, e magari l’acqua e il vino non sono ancora arrivati. Un pacchetto, due, tre, tutta questa pastoia di panificazione industriale che si spezza in bocca, scende in gola, forma un tappo. E poi l’acqua, ah l’acqua che manda giù il bolo, lo bagna, disfacendolo.

Noi i grissini li mangiamo di venerdì, alle 19.30. Arrivano il giorno prima, freschi, produzione industriale di qualità. Per i grissini l’azienda non bada a spese: tre pacchetti a testa, quelli coi grani di sale, alle 19.30, di venerdì. È la nostra cena, il momento dei grissini, così poi continuiamo a lavorare, fino alle 21.30. Due ore ancora, ché poi di sabato non si lavora, e di domenica neppure.
Non ce lo facciamo mai scappare il momento dei grissini di venerdì: arrivano il giorno prima, di solito all’ora di pranzo. Uno di noi li divide a gruppi di tre, pronti ad essere distribuiti il venerdì, due ore in più, straordinarie non pagate. Di tempo ne perdiamo poco: i grissini li abbiamo già raggruppati, e poi quanto ci vuole a mangiare tre pacchetti di  grissini? Cinque minuti, non di più – e del resto nessuno vuole metterci più tempo. Perché i tedeschi, a capo di questa multinazionale che ci ha inglobato, vogliono così. Non ci pagano, ma ci danno da mangiare i grissini, tre pacchetti, e come fai a dire che no, tu due ore in più non ci lavori? I sindacati non amano i grissini. E se qualcuno è contrario, c’è sempre un collega che è contrario, si adegua. Lo fanno tutti, lo faccio anche io.

Io me la ricordo bene la cena di Natale di due anni fa: di venerdì, ognuno con i nostri tre pacchetti di grissini. E poi il prosciutto crudo, da arrotolare attorno ai grissini, il nostro premio di produzione. Capite? C’era il prosciutto crudo! Buono, di alta qualità, quello dolce, rosso acceso, che al negozio lo chiamano magari culatello, la parte finale del prosciutto, di solito più dolce. Arrotolato intorno al grissino coi grani di sale. Dolce e salato insieme. Una bontà. Il nostro premio produzione.

Poi qualche mese fa hanno assunto K., si occupa della qualità, la persona che c’era prima di lui è andata in pensione. K. all’inizio ha fatto fatica ad ambientarsi, poi piano piano si è adeguato. Noi in azienda parliamo poco, e mai del nostro privato. Niente battute, niente ironia. Siamo gente seria. Invece K. quando è arrivato parlava, faceva battute. Non è che non lavorasse, ma da noi non si scherza. Non perché i tedeschi sono persone molto serie. Eravamo così anche prima di essere inglobati. Ma K. non era così. Si è abituato. E anche lui, a turno, si occupava dei grissini, li divideva a gruppi di tre al giovedì. Per risparmiare tempo.

Ma l’ultimo venerdì, poco prima del nostro momento dei grissini è successa una cosa. K., che aveva ricevuto i suoi tre pacchetti, ha tirato fuori un martello. Dove l’abbia preso non lo so, forse è arrivato da casa con il martello, ma come ha superato i controlli? Noi ogni mattina dobbiamo passare attraverso un cancello elettronico, depositare gli oggetti di metallo. Come in aeroporto. Quando il cancello fa bip bip e la luce si illumina di rosso abbiamo addosso ancora qualcosa di metallo – di   solito è la cintura dei pantaloni, perché del portafoglio e del cellulare ci ricordiamo tutti e li mettiamo nell’apposita cassettina. Ma il martello come ha fatto a passare?

Comunque K. ha tirato fuori questo martello e nessuno ci ha fatto caso, perché erano tutti intenti a prepararsi per mangiare i grissini, mancavano pochi minuti alle 19.30. I tre pacchetti erano già sulle scrivanie di ognuno. Noi lavoriamo tutti sullo stesso piano in gruppi di quattro, le scrivanie sono unite, ognuno il suo computer e la sua sedia ergonomica per lavorare al meglio. K. si è alzato dalla sua scrivania – il rumore della sedia ergonomica che cade a terra e noi ci voltiamo tutti verso di lui – e ha cominciato a correre tra le scrivanie con il martello in mano per romperci i grissini, per renderli polvere. I nostri grissini, tre pacchetti ciascuno, tre colpi franchi, nessuno che è riuscito a proteggerli perché siamo stati colti di sorpresa, non ce lo aspettavamo. Quel venerdì poco prima delle 19.30 K. ha distrutto tutti i nostri grissini. Il lunedì dopo è stato licenziato. Ma noi quella sera non abbiamo mangiato i nostri  grissini e abbiamo comunque lavorato due ore in più. Abbiamo bevuto il nostro bicchiere d’acqua che l’azienda ci consiglia di bere per deglutire grissini. L’azienda ci vuole bene, per due ore di lavoro in più ci fornisce i grissini e un bicchiere d’acqua. Peccato per quel venerdì senza il nostro momento dei grissini. Speriamo che non succeda più.

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L’autore
Luca Barachetti, giornalista, (improbabile) poeta, scrittore, nato nel 1983 come “Swordfishtrombones” di Tom Waits. Fervente appassionato di musica, lettore feroce, cerca sempre di tenere le antenne dritte e di farsi rispettare, soprattutto a tavola. Crede, come diceva Elio Petri, che “L’ultima soglia di resistenza è fare bene le cose”. O qualcosa del genere.

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