Sette pentole di latte
di Gianni Somigli
illustrazione di Michele Rota
Dindiro dindiro sette pecore e un agnellino sette pecore e sette vacche sette pentole di latte, biascica la vecchia; la sua voce si sgretola, il suo volto si sgretola, la vecchia ciondola sbilenca su una sedia ingoiata dall’uscio sull’orlo di un buio che sembra volerla divorare; le passo poco distante col mio cesto di teste di pollo da portare al Santo di Sotto, che dicono che se le mangia lui o le usa per le sue bambole che sotterra e che dicono fanno male alle persone, mica le dà al maiale come dice lui, rallento quando sono a pochi passi da lei e io li sento i suoi occhi che mi seguono e sono così chiari, i suoi occhi, che io non lo capivo perché fossero così chiari, sembrano trasparenti dicevo al mio amico Alfredo e lui mi aveva detto che suo nonno gli aveva detto che erano così perché la vecchia era cieca ma che non era nata cieca e che i suoi occhi se li era presi il diavolo quando era bambina come noi e che tutti lo sanno in paese, che poi paese, cinque case in tondo e un’aia in mezzo dove la gente scura e polverosa si mischia con i morti che quasi fatichi a distinguerne le guance, e le mani e i passi; nelle case e nei campi e a bottega lo sanno tutti ma ci sono cose che bisogna solo saperle e non dirle mai a voce alta che poi succedono le cose brutte e ora che sei grande, Alfredino, lo capisci che sono cose che non vanno bene, gli aveva detto suo nonno, ma io e Alfredo eravamo amici e non avevamo segreti fra noi due e anzi fra noi tre, perché eravamo tre, io e Alfredino e Bastiano ma poi Bastiano non si trovò più e tutti dissero era cascato e che era morto nel fiume dove i grandi ci dicevano sempre di non andare perché era pericoloso ma anche se ci viveva pure il Santo di Sotto col suo maiale e le sue bambole sotterrate noi ci andavamo lo stesso e a me sembrava strano che Bastiano fosse andato laggiù da solo perché era un fifone, che lo prendevamo sempre in giro perché era un fifone quindi chissà e ora eravamo rimasti solo io e Alfredo e alla fine Alfredo mi raccontò quello che gli aveva raccontato il nonno, che la vecchia era diventata cieca quando, bambina, barattò gli occhi col diavolo, che quando me lo disse, Alfredo, io mi resi conto solo dopo un po’ che non mi prendeva in giro e gli chiesi perché il diavolo si era preso gli occhi della vecchia bambina e lui mi disse che suo nonno gli aveva raccontato che fin da piccola la vecchia era stata una di quelle persone che parlano col diavolo e qualche volta anche con gli angeli o con i morti ma più spesso col diavolo e che quando c’era da chiedere qualcosa per i campi o per le bestie o per i bambini la gente andava da lei e le regalava un pezzo di lardo o un pezzo d’agnello o un pezzo di maiale nel sale e lei si chiudeva in una stanza con una candela e un pentolino e dell’olio e nessuno davvero sapeva bene cosa e cominciava a borbottare che sembrava un tegame di fagioli nella bocca del camino da come borbottava, poi quel giorno che nessuno ne deve parlare andarono tutti insieme gli uomini e non avevano nulla da dare alla vecchia bambina e lei diceva che se non avevano nulla da dare lei non poteva fare nulla e che le dispiaceva e quegli uomini si arrabbiarono tanto perché non pioveva da molti mesi e i campi erano diventati di pietra e così sarebbero morti tutti di fame, uomini e donne e bambini e bestie e che lei doveva fare qualcosa ma lei diceva che non poteva, non poteva, e allora gli uomini dissero che forse era colpa sua se non pioveva e che forse la dovevano ammazzare e allora la presero in tanti e la chiusero nella stanzina buia e doveva parlare col diavolo o con dio o con gli angeli o con i morti e doveva piovere prima di domani o ti ammazziamo, le urlarono, ti ammazziamo e poi ti spezziamo e buttiamo tutti i pezzi nel fiume tranne la testa che la diamo al maiale del Santo di Sotto, che era già un vecchio, e allora lei pianse e poi chiuse gli occhi, aveva detto il nonno di Alfredo, e era stata zitta e ferma per un po’ con le lacrime che sembravano cera di candela, così zitta e ferma che sembrava addormentata o morta, e che anche quegli uomini sporchi e arrabbiati erano rimasti zitti e fermi e che fuori era cominciato a piovere e c’era un odore strano che era rimasto nell’aria per due giorni o tre e la vecchia bambina aveva riaperto gli occhi e le erano diventati quasi trasparenti e non ci vedeva più e gli uomini se n’erano andati e tutti avevano paura e io ci credo a Alfredo anche ora che la guardo mentre ciondola sbilenca su una sedia ingoiata dall’uscio sull’orlo di un buio dentro al quale qualcosa o qualcuno sembra muoversi appena e con la bocca socchiusa e senza denti canticchia con la voce sgretolata dindindiro dindindiro sette pecore e un agnellino sette pecore e sette vacche sette pentole di latte e sono quasi sicuro di aver visto il mio amico Bastiano nel buio dietro di lei, anche se non so se anche lui mi ha visto o salutato, io non l’ho fatto perché mi sembrava così arrabbiato, o triste, o tutt’e due, e a Alfredo non lo dirò ma quando l’ho visto lì nel buio dietro la vecchia un po’ di paura io ce l’ho avuta.
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L’autore
Gianni Somigli è di Incisa Valdarno, vicino Firenze, ma vive verso Arezzo insieme alla Claudia e a quattro gatti. Di lavoro fa tatuaggi. Ha ripreso a scrivere dopo una piccola pausa di riflessione di una decina d’anni. Ultimamente sono stati pubblicati alcuni suoi racconti, altri usciranno, altri ancora chissà, magari no. Suo malgrado ha quarant’anni. Guarda le nuvole, ma è fatto di terra.
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